Il 44% delle transazioni dei Bitcoin è associato ad attività illecite, secondo una ricerca

Il 44% delle transazioni dei Bitcoin è associato ad attività illecite, secondo una ricerca

Secondo uno studio condotto recentemente da Sean Foley (Università di Sidney), Jonathan R. Karlsen (University of Technology Sidney) e da Talis J. Putnins (Stockholm School of Economics di Riga), il 44% delle transazioni dei Bitcoin è riconducibile ad attività illecite, circa 72 miliardi di dollari di attività illegali all’anno coinvolgono i bitcoin. 

Commerci illeciti, finanziamento dei gruppi terroristici, strumenti per il riciclaggio di denaroper eludere i controlli fiscali sono i principali impieghi illegali delle criptovalute:

Mentre le criptomonete presentano molti potenziali benefici, compresi i pagamenti più rapidi ed efficienti, le preoccupazioni normative si concentrano sul loro utilizzo per il commercio illecito (droghe, hack e furti, pornografia illegale, e anche assassinii su commissione), come potenziale fonte di finanziamento del terrorismo, per il riciclaggio di denaro, e sfuggire ai controlli sui capitali.

Lo studio non vuole scaricare la colpa alla criptovaluta e non vuole darli una valenza criminogena, ma cerca di comprendere sino a che punto il commercio illegale online rifletta semplicemente la migrazione di attività che, altrimenti, si sarebbero verificate per strada, contro l’alternativa che, rendendo i beni illegali più accessibili, facili da acquistare, e meno rischiosi grazie all’anonimato, il passaggio online possa determinare una crescita del complessivo mercato nero.

La domanda a cui ancora si deve rispondere è: senza la criptomoneta il mercato nero riuscirebbe ad espandersi ancora così velocemente? 
Il numero di transazioni illegali facilitati dai Bitcoin negli ultimi anni contribuiscono a comprendere il problema, ma chiaramente sono ancora sono necessarie ulteriori ricerche in merito per mettere in relazione queste stime con i trend del mercato nero offline.

Comunque se siete interessati a visionare l’intero studio pubblicato a fine gennaio, lo potete trovare a questo link.

 

 

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